di Roberto Omini
Fonte:blog controcampo
© Milanow
Oggi si punta diritto al cuore di Pato: vent’anni, e nemmeno un brivido dal Friuli. Ieri, la furia dell’insuccesso stava sulle spalle di Ronaldinho, quasi l’emblema delle speranze disattese, del grande Milan destinato a deprimersi. Poi è toccato al mercato così scadente, così sbagliato: via Kakà, dentro Huntelaar. Si è persino scomodata la musichetta di Champions League, con quella sgorgano le motivazioni e si ritorna belli e forti, salvo poi rivedersi così, a metà classifica e con troppe faccende da (ri)sistemare. In questa frenesia, frenesia di umori che si sollevano e si spengono, di entusiasmi e crisi, di vittorie che sembrano chissà cosa e sconfitte che azzerano tutto, c’è lo strano Milan di questi tempi: strano e non strambo, malato ma pur colmo di giocatori di prima fascia, di campioni magari logori ma non spenti, di giovani talenti – Pato, per tutti - dai quali pretendere tanto, tutto; guidati da un allenatore – questo sì - al quale si devono perdonare le difficoltà del noviziato, ma cui occorre chiedere qualcosa che sappia di continuità, non di cambi repentini dettati dall’ultima giocata.
Un Milan che la smetta di pensare a come è grande in Europa e smarrito in Italia, visto che in Europa nelle ultime due stagioni ha fatto poco: ottavi di finale di Champions nel 2008, quarti di Coppa Uefa nel 2009, e non può essere il 2-1 di Marsiglia un indicatore di rotta. E’ anche questa una inutile corsa nella frenesia di sentimenti, di speranze, di illusioni/delusioni.
Le scelte sono state fatte a luglio-agosto, un cambio di rotta che ha creato smarrimento, ma non può essere l’alibi quotidiano per argomentare parole e opinioni, anche quelle dei tifosi molto delusi: oltrepassare il primo turno di Champions League è il minimo garantito di una squadra che si chiama Milan, così come lnter e Juventus; sussurrare che la Champions è nel dna rossonero funziona come storia, non troppo recente, ma non come possibile immagine di chissà quali imprese, al momento Barcellona e Real, Chelsea e Manchester United sono fuori dalla portata di Inter-Juve-Milan.
Cosa serva oggi ai rossoneri è un opportuno ritorno alla normalità: di sensazioni, di umori, di promesse e di speranze. Magari anche smettendo di pensare che sia Ronaldinho l’emblema del Bene e del Male, delle illusioni e delusioni, di quella frenesia di umori e anche di scelte dentro la quale si vive alla giornata. Ovvero male.
Un Milan che la smetta di pensare a come è grande in Europa e smarrito in Italia, visto che in Europa nelle ultime due stagioni ha fatto poco: ottavi di finale di Champions nel 2008, quarti di Coppa Uefa nel 2009, e non può essere il 2-1 di Marsiglia un indicatore di rotta. E’ anche questa una inutile corsa nella frenesia di sentimenti, di speranze, di illusioni/delusioni.
Le scelte sono state fatte a luglio-agosto, un cambio di rotta che ha creato smarrimento, ma non può essere l’alibi quotidiano per argomentare parole e opinioni, anche quelle dei tifosi molto delusi: oltrepassare il primo turno di Champions League è il minimo garantito di una squadra che si chiama Milan, così come lnter e Juventus; sussurrare che la Champions è nel dna rossonero funziona come storia, non troppo recente, ma non come possibile immagine di chissà quali imprese, al momento Barcellona e Real, Chelsea e Manchester United sono fuori dalla portata di Inter-Juve-Milan.
Cosa serva oggi ai rossoneri è un opportuno ritorno alla normalità: di sensazioni, di umori, di promesse e di speranze. Magari anche smettendo di pensare che sia Ronaldinho l’emblema del Bene e del Male, delle illusioni e delusioni, di quella frenesia di umori e anche di scelte dentro la quale si vive alla giornata. Ovvero male.
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